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Costruito tra il 1150 e la fine del 1200, il duomo di San Corrado di Molfetta rappresenta un singolare esempio di architettura romanico-pugliese. Lo schema architettonico, con cupole in asse e semibotti sulle navate laterali, ricorda quello largamente diffuso nell’XI secolo in molte chiese monastiche benedettine, mentre elementi bizantini, romanici e musulmani si fondono tra loro in uno stile del tutto particolare e di non facile attribuzione. Oltre a ciò il duomo di San Corrado è la maggiore delle chiese romaniche con la navata centrale coperta a cupole in asse (tre, nel caso specifico) impostate su tamburo a pianta esagonale; le altre (comprese le quattro Basiliche Palatine) hanno la copertura del tipo a capriate e tegole sovrapposte.

Pilastri cruciformi con colonne addossate suddividono lo spazio interno del tempio (a pianta basilicale asimmetrica) in tre navate, delle quali quella centrale, come abbiamo visto, è ricoperta da tre cupole allineate e di altezza disuguale. All’esterno le cupole sono rivestite da tamburi esagonali e mostrano una peculiare copertura piramidale, formata da lamelle di pietra locale, dette chiancarelle, della stessa tipologia di quelle che ricoprono i trulli. Prima a essere costruita fu la cupola di levante, romanica, emisferica e più bassa delle altre due; quella centrale, elissoidale, è alta 24 m e mostra caratteristiche bizantine, come quella di ponente, anch’essa emisferica. La facciata principale, rivolta ad occidente, è spoglia: questo si spiega col fatto che essa dall’epoca della costruzione e fino al 1882 era a picco sul mare, così come tutto il prospetto occidentale della città vecchia (come testimoniano rare fotografie antecedenti alla costruzione della Banchina Seminario). La facciata di mezzogiorno si trova nel cortile del vecchio episcopio e mostra l’immagine di papa Innocenzo VIII, stemmi di alti prelati, tre finestre tardo rinascimentali e le statue di San Corrado e di San Nicola.

La zona absidale è racchiusa tra due maestose torri campanarie ed è ornata da un motivo di archi ciechi legati a due da archetti sulla parte cuspidale, presenta tre porte murate poste a livello del piano stradale; quella centrale, sormontata da un archetto gemino e abbellita a destra da un mascherone, è collocata sotto una grande finestra fiancheggiata da leoni stilofori. Le torri sono dette campanaria quella di mezzogiorno (perché sede fisica del campanile) e vedetta quella prossima al mare (pertinente all’Universitas,veniva utilizzata per l’avvistamento di eventuali incursioni saracene). Gemelle, di base quadrata, a tre ripiani, le torri sono alte 39 metri e aperte sui quattro lati da finestre bifore e monofore.

Il corredo artistico interno è piuttosto scarno ma non privo di interessanti elementi: un fonte battesimale del 1518, un prezioso paliotto con bassorilievo del XIV secolo, un pluteo tardo romanico in pietra del XII secolo che rappresenta una cerimonia pontificale e un altorilievo rappresentante il Redentore del XIII secolo. Di particolare rilievo è l’acquasantiera raffigurante un uomo, probabilmente un saraceno, che regge un bacile in cui nuota un pesce, simbolo ricorrente nell’iconografia religiosa. In origine il duomo fu dedicato a Maria SS. Assunta e fu l’unica parrocchia esistente a Molfetta fino al 1671. Nel 1785 la sede della Cattedrale fu trasferita all’attuale Cattedrale di Maria SS. Assunta in Cielo e da allora il Duomo Vecchio prese il nome del patrono San Corrado.

Foto:

1. Molfetta, Duomo di San Corrado

2. Interno del Duomo, controfacciata occidentale

3. Torri campanarie

4. Fonte battesimale

5. Acquasantiera

Crediti:

Testo e foto di Francesco Lacarbonara

Licenza:

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Ambienti, paesaggi e natura di Puglia

Seconda parte

Nella prima parte di questo nostro breve viaggio alla scoperta del patrimonio naturalistico pugliese abbiamo visto quelle che sono le sue principali caratteristiche geografiche. Continuiamo il nostro percorso esplorando i diversi habitat naturali della Puglia per evidenziare quelli che sono i suoi più importanti aspetti biologici e paesaggistici.

Mar Mediterraneo (NASA)

La nostra regione rientra, dal punto di vista biogeografico, nella zona centrale di quello che viene definito come “bioma mediterraneo” (Whittaker, 1970): un’area geografica che si colloca intorno al 40° di latitudine nord e le cui caratteristiche climatiche risentono dell’influsso del Mar Mediterraneo. In questa vasta area si riscontrano aspetti climatici comuni quali: precipitazioni diffuse soprattutto nei mesi autunnali ed invernali, lunghi periodi di siccità caratterizzanti i mesi estivi durante i quali si possono registrare temperature massime anche superiori ai 40 °C, mentre le temperature minime di rado scendono al di sotto dei 0 °C; rare le precipitazioni nevose. In particolare i valori medi di piovosità in Puglia sono compresi tra i 450 e i 650 mm annui; valori maggiori si registrano sul Gargano, sul Subappennino Dauno e lungo il versante adriatico del Salento, con precipitazioni locali che superano gli 800 mm annui.

Un tale quadro climatico consente lo sviluppo di una ricca flora che vanta circa 20.000 specie, delle quali 7.050 sono presenti in Italia, 2.076 in Puglia e 1.400 nel solo Salento, corrispondenti ai 2/3 della flora pugliese e a 1/3 della flora italiana; di queste 150 sono piante alimurgiche, prive cioè di sostanze velenose o comunque dannose per l’organismo e pertanto commestibili.

Salvia triloba

Il paesaggio vegetale mostra aspetti molto diversi a seconda delle zone geografiche, delle condizioni microclimatiche e dell’ininterrotta opera di trasformazione apportata dalle attività antropiche. Si passa così dalle foreste di latifoglie del Gargano alla pseudo-steppa dell’Alta Murgia, dalla vegetazione psammofila e igrofila dei litorali e delle retrostanti zone umide alle distese di ulivi, molti dei quali centenari, che da un capo all’altro della Puglia rendono tipico il nostro paesaggio.

 

Tra le specie di particolare rilievo  ricordiamo, solo a titolo di esempio, il fragno (Quercus troiana) e la quercia vallonea (Quercus macrolepis) per le essenze arboree ; Campanula versicolor, Salvia triloba, Phlomis fruticosa tra le specie di origine balcanica; Inula candida, Scabiosa dallaportae e Iris pseudopumila tra le specie endemiche; Ipomea saggitata e Sarcopterium spinosum, tra le specie rare dell’intera flora italiana.

La particolare disposizione geografica, unitamente alla diversità dei biotopi, fa della Puglia un luogo ideale per la sosta di numerose specie di uccelli, sia stanziali sia migratrici.

Cavaliere d'Italia (Himantopus himantopus)

Il dato si fa interessante se si considera che le specie di uccelli che nidificano in Puglia sono 179 pari a circa il 72 % del totale delle specie nidificanti in Italia (fonte: Arpa Puglia, Relazione sullo stato dell’ambiente 2004). Passeggiando lungo i sentieri di una delle tante faggete della Foresta Umbra, nel Parco Nazionale del Gargano, non è raro imbattersi nel ripetitivo tamburellare del picchio, che con ben cinque specie popola questi boschi, tra cui il raro ed elusivo picchio dorsobianco (Picoides leucotos). I campi coltivati del Tavoliere, come le steppe erbose del vicino Sub Appenino Dauno e dell’Alta Murgia, ospitavano un tempo un ricca popolazione di gallina prataiola (Tetrax tetrax), piccola otarda dal caratteristico richiamo udibile anche a notevole distanza. Dotati di volo potente e veloce, se disturbati preferiscono eclissarsi a piedi o sfruttare il mimetismo. I maschi sfoggiano un vistoso collare bianco e nero e, nel periodo riproduttivo, si esibiscono in spettacolari parate e danze collettive per attirare le femmine. Le trasformazioni del territorio, il diffondersi di un’agricoltura intensiva, l’uso di fertilizzanti e antiparassitari chimici, hanno notevolmente ridotto la presenza di questo uccello, fino a portarlo quasi all’estinzione. La tutela d’importanti zone umide, come la Palude di Frattarolo, la Daunia Risi e le Saline di Margherita di Savoia, hanno permesso, di contro, un notevole ripopolamento avifaunisico; basti pensare allo spettacolo offerto dal volo di interi stormi di fenicotteri rosa, che da diversi anni nidificano nella Salina, unitamente ad avocette, cavalieri d’Italia, aironi ,anatre, folaghe, svassi e numerosi altri limicoli.

Grillaio (Falco naumanni)

Il paesaggio lunare dell’Alta Murgia offre rifugio e nutrimento a specie adattate agli ambienti aperti, come le allodole (in Puglia sono presenti tutte le cinque specie nidificanti in Italia), ma sono soprattutto i rapaci (nibbi, poiane, falchi pellegrini e lanari, bianconi e lodolai) a rendere suggestivo questo ambiente. Negli ultimi anni si è registrato un sensibile aumento della diffusione di un piccolo falco migratore simile al gheppio, il grillaio (Falco naumanni), che in primavera, proveniente per lo più dall’Africa centrale e meridionale, ha eletto i centri storici di numerosi paesi della Murgia e del Materano quali siti riproduttivi; nidifica infatti nei centri abitati, in colonie a volte anche molto numerose (nell’ordine di qualche migliaia di individui). Molto utile all’agricoltura, si nutre quasi esclusivamente di insetti (soprattutto cavallette) ed è particolarmente sensibile alle modificazioni apportate all’ambiente agricolo; la tutela di vaste aree, come l’altopiano delle Murge, ne garantirebbero la sopravvivenza, favorendone a contempo la diffusione e l’ampiamento dell’areale riproduttivo.

Il diffuso sistema di lame e gravine che, data la natura carsica del suolo pugliese, caratterizza gran parte della nostra regione, con i suoi canyon, pozzi ed inghiottitoi, offre notevoli esempi di ambiente rupicolo. Regno di importantissime specie quali: il maestoso gufo reale (Bubo bubo), l’elegante passero solitario (Monticola solitarius), il raro Capovvaccaio (Neophron percnopterus), piccolo avvoltoio migratore dalla candida livrea, le gravine dell’arco ionico solo di recente hanno avuto, nell’istituzione del Parco Regionale “Terre delle Gravine”, un valido strumento di pianificazione e di tutela del territorio.

Salina dei Monaci, Torre Colimena (Manduria)

Lungo tutto il litorale salentino, adriatico e ionico, si ritrovano importantissime zone umide, il cui valore è riconosciuto anche a livello internazionale (Convenzione di Ramsar, 1971; Direttiva Comunitaria “Habitat” 92/43): dal Mar Piccolo di Taranto alle Riserve Naturali Regionali del Litorale Tarantino Orientale,  dall’Area Marina Protetta di Porto Cesario al Parco Regionale di Porto Selvaggio, dai Laghi Alimini alle Oasi protette de Le Cesine e di Torre Guaceto, queste aree ricoprono un ruolo estremamente utile nell’equilibrio della natura agendo da regolatori idrici e climatici. Le zone umide offrono un considerevole assortimento di specie viventi che per varietà e ricchezza li rendono preziosissimi, benché siano stati, e lo sono tuttora, oggetto di bonifiche o di altre trasformazioni, tanto da deturparne, a volte irrimediabilmente, l’aspetto. Il livello di biodiversità delle zone umide, dovuta a tutte le condizioni ambientali in esse presenti, è veramente notevole: l’aria, l’acqua, il suolo, gli agenti atmosferici, creano le basi per la presenza di un mondo vegetale ricchissimo e vario, che a sua volta offre ospitalità ad una microfauna multiforme; vegetazione e microfauna costituiscono gli ulteriori gradini che permettono l’esistenza di un mondo composito di vertebrati: pesci, anfibi, rettili, mammiferi e soprattutto uccelli. Sono infatti questi ultimi gli autentici protagonisti delle zone umide: in questi ambienti essi ritrovano luoghi ideali per la nidificazione, la sosta durante le migrazioni, l’alimentazione.

 

Fratino (Charadrius alexandrinus)

Oltre a ciò essi rappresentano degli importanti indicatori della qualità dell’ambiente e del suo stato di conservazione. La giusta interazione tra ogni specie e il suo habitat è di fondamentale importanza per lo sviluppo della loro vita: così gli uccelli più specializzati avranno selezionato un ristretto ambito su cui fondare la propria esistenza: scomparso o danneggiato questo si avrà la diminuizione o la distruzione della specie stessa. Di contro gli uccelli più adattabili sapranno adeguarsi ai sopravvenuti mutamenti ambientali senza correre grossi pericoli; ecco perchè le specie a maggior rischio sono quelle che hanno maggiori esigenze in fatto di qualità ambientali (come acqua pulita e ricca di ossigeno) e la loro presenza in un determinato territorio è indice di consolidato equilibrio. Al contrario il rinvenimento di specie altamente adattabili conferma una situazione territoriale monotona, caratterizzata da un impoverimento delle diversità naturali causato dalla distruzione selettiva di alcuni habitat: più vario sarà l’ambiente, quindi, e più diversificata sarà l’avifauna.

Proseguiremo il nostro itinerario naturalistico facendo tappa tra i boschi xerofili e mesofili che, seppur a macchia di leopardo, sopravvivono ancora in particolare sull’altopiano delle Murge. Un breve cenno alla storia geologica della Puglia ci consentirà poi di cogliere il profondo legame che la unisce con l’altra sponda dell’Adriatico e dello Ionio, del quale restano importanti tracce soprattutto nella flora e nella fauna pugliese.

Anacamptis coriophora (F. Lacarbonara)

(Fine seconda parte)

 

Crediti

Cavaliere d’Italia: Alnus, licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo 3.0 Unported;

Fratino: Mike Baird, licenza Creative Commons Attribuzione 2.0 Generico

Salvia triloba, Salina dei Monaci, Anacamptis coriophora:

Francesco Lacarbonara – tutti i diritti riservati –

Mar Mediterraneo e Grillaio: pubblico dominio.


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