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Vélez Malaga 1904 – Madrid 1991

Di: Lucia Vantini

Ritratto di María Zambrano, proveniente dall’archivio fotografico della Fundación María ZAMBRANO, Velez Malaga.

Maria Zambrano non avrebbe mai incoraggiato un’attenzione alla sua persona. Sperava che il suo nome non comparisse da nessuna parte: le interessava solo scrivere ed esistere per i suoi amici e «per coloro che si presentano con il cuore aperto». Eppure, davanti ai suoi testi così traboccanti di sapienza, si ha la certezza che assecondare questa sua ritrosia sarebbe un grave torto per l’intera umanità.

Maria Zambrano nata da una famiglia di maestri nella terra assolata dell’Andalusia – terra di incrocio di Ebrei, Arabi, Gitani – è stata una filosofa nel senso più profondo del termine: era convinta che al mondo non avrebbe potuto fare altro che «vivere pensando» e, occorre aggiungere, “da donna”, cioè guardando le cose «attraverso l’anima».

Dal 1921, Maria Zambrano frequenta la facoltà di filosofia presso l’Università centrale di Madrid e dal 1931 al 1936 vi lavora come assistente alla cattedra di metafisica. Il suo percorso viene segnato dalle lezioni di Zubiri, Garcia Morente e soprattutto di Ortega y Gasset, che sarà per lei un vero e proprio maestro, rispetto al quale riuscirà però a trovare, non senza qualche piccolo conflitto, un cammino totalmente personale: la filosofia non poteva essere ripetizione o imitazione, ma sempre interpretazione a partire dalla propria esperienza. Fin dagli anni universitari intreccia filosofia e politica, pubblicando vari articoli in difesa della Repubblica, per scongiurare, e poi contrastare, la dittatura. Emblematicamente, il suo ultimo scritto, pubblicato nel novembre 1990, è I pericoli per la Pace, composto di fronte all’orrore della guerra nel Golfo Persico. Perseguitata dal regime franchista, vive gran parte della sua vita in esilio: dal 1939, e per 45 lunghissimi anni, si sposta continuamente per vari Paesi. Nel 1936 si trova a Santiago del Cile, dopo il matrimonio con il diplomatico Alfonso Rodriguez Aldave (dal quale si separerà dieci anni dopo).

Solo nel 1984, finalmente, può tornare in Spagna. Non vuole un’accoglienza ufficiale, ma solo alcuni amici. L’esilio è stato un dramma, segnato dall’apprensione affettiva e dalla precarietà economica, ma anche un’esperienza di rivelazione che farà per sempre parte di lei. Spogliata di tutto, dello spazio in cui abitare e del tempo della libertà, le appare di accedere alla rivelazione della vera fisionomia della natura umana: siamo tutti «nati a metà», esseri incompiuti che non hanno mai finito di nascere. Eppure, nonostante la tragicità del momento che assomigliava tanto ad una morte in vita, Zambrano trova in sé un’energia di resistenza: una certa «fame di nascere del tutto» continua a spingere la sua anima verso la speranza di una nuova rigenerazione.

Una volta a casa, la sua attività è intensa, circondata da amici e collaboratori. Nel 1987, viene insignita del dottorato honoris causa dall’Università di Malaga e l’anno dopo le viene conferito il prestigioso premio Cervantes. Nel 1989, nasce a Vélez Malaga la Fondazione che tutt’ora porta il suo nome. Due anni dopo, si spegne in un ospedale di Madrid. Per sua volontà, la lapide porta incisa una frase del Cantico dei Cantici, emblema di quella fiducia nelle rinascite che attraversa fin dall’inizio tutta la sua filosofia: «surge, amica mea, et veni».

Questa pensatrice poliedrica si è ovviamente occupata di molti temi che, in sintesi, si potrebbero distribuire secondo tre direttrici: teoretica, religiosa e politica.

Maria Zambrano critica la filosofia contemporanea per il divorzio fra logica ed esistenza ed è convinta che «ogni verità pura, razionale e generale, deve sedurre la vita; deve farla innamorare»: una filosofia sganciata dal mondo è vuota, sterile e asfittica, mentre la vita, senza una parola che la rischiari, la potenzi, la innalzi o dichiari i suoi fallimenti, si disperde nel nonsenso e in ordini simbolici stranieri. Un pensiero così incarnato arriva fino alle viscere e si snoda, senza dualismo, fra passività e attività: mai immunizzato rispetto al mondo, da un lato si lascia ferire e modificare dalle realtà con cui entra in contatto, fossero anche le più piccole, e dall’altro, paradossalmente proprio attraverso quest’aderenza pensante, diviene attivo e crea uno squilibrio che scombina – ma anche polarizza in altro modo – la realtà, offrendo imprevedibilmente aperture e squarci dapprima impossibili. La filosofia di Maria Zambrano vuole dunque essere poetica, pensiero che vive «secondo la carne» e non si stacca né dalle cose né dall’origine, e materna in quanto disponibile a rinunciare alla dialettica e all’astrazione per mantenersi aderente al concreto, accogliente e generante. Sarà questa ratio a condurre Zambrano sui sentieri del sacro, oscura e viscerale matrice della vita. Da un lato, il sacro affascina perché può salvare, ma dall’altro terrorizza, perché può distruggere. Cercando di gestire quest’inquietante ambiguità, la filosofia ha oscillato tra un atteggiamento di rimozione e uno sforzo di nominazione che lo rendesse divino, cioè in qualche modo avvicinabile. Oggi, scrive Zambrano, l’Occidente non fa più questo lavoro di tessitura: gli uomini raccontano la loro storia, esaminano il loro presente e progettano il loro futuro senza tener conto di Dio o di qualunque forma di eccedenza. Tutt’al più, mantengono un pallido ricordo del Dio cristiano, ma solo del suo lato potente e creatore e mai di quello oblativo che l’ha portato a donarsi loro in pasto. Pensando di poter assumere tale potenza, essi hanno rinnegato la propria creaturalità, per rifare il mondo a loro misura. Tuttavia, smettendo di essere figli hanno soffocato la propria umanità e si sono votati ad un destino di distruzione, lasciando un’Europa violenta e agonizzante, che ha realizzato la democrazia solo a parole.

Maria Zambrano, allora, consegna all’Occidente un’eredità impegnativa: realizzare un mondo effettivamente democratico, dove ciascuno e ciascuna possa essere persona, unica realtà che davvero conti, perché solo nella persona «il futuro si fa strada». L’avvenire auspicabile dovrà essere una sinfonia, un’armonizzazione delle differenze che, per essere davvero incontrate e non malamente sopportate, domandano pietà, cioè «sapienza di trattare con il diverso, con ciò che è radicalmente altro da noi».

Quello che Maria Zambrano offre è allora una filosofia della speranza: il sapere delle cose della vita è stato per lei frutto di lunghi patimenti, ma fino alla fine è rimasta certa che tale sapere «può – anzi dovrebbe – sgorgare dall’allegria e dalla felicità».

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Maria Zambrano:

S. Zucal, Maria Zambrano. Il dono della parola, Milano, Bruno Mondadori 2009.

Sito della Fondazione di Vélez-Malag

Referenze iconografiche:

Ritratto di María Zambrano, proveniente dall’archivio fotografico della Fundación María ZAMBRANO, Velez Malaga.

Immagine in pubblico dominio.

Fonte: enciclopediadelledonne.it

Licenza: Creative Commons CC BY-NC-SA 4.0.

di Mattia De Giosa

Mi fa molto piacere accingermi a scrivere questo nuovo post, perché oltre ad annunciare una novità editoriale, che sembra l’ennesimo segnale di un nuovo interesse per l’autore in questione, posso anche fornire una serie di informazioni aggiuntive per il futuro. La novità editoriale di cui annuncio la ripubblicazione, avvenuta nel mese di Aprile del 2011 è l’uscita del volume di Teilhard de Chardin intitolato ‘Il posto dell’uomo nella natura’ (http://www.jacabook.it/ricerca/schedalibro.asp?idlibro=3606) per i tipi di jacabook, nella collana denominata ‘BIBLIOTECA PERMANENTE Jaca’.

Questa opera di Teilhard de Chardin, fu terminata nel 1949 anche se pubblicata, come tutte le altre principali opere dell’autore, postuma nel 1956 (Editions Albin Michel, Paris) . Essa rappresenta la naturale continuazione/sintesi della sua opera principale sull’argomento, ovvero ‘Il fenomeno umano’, ed alla parte principale che comprende l’argomento paleontologico (infatti il sottotitolo dell’opera è ‘il gruppo zoologico umano’) si aggiunge una parte finale che è più squisitamente filosofica (R. Gibellini – Teilhaìrd de Chardin l’opera e le interpretazioni – Brescia 2005) .

Anche in quest’opera come del resto ne ‘Il fenomeno umano’ Teilhard ci avverte, in una nota datata Parigi, 10 Gennaio 1950, prima che cominciamo la lettura, che ‘Le pagine che seguono, come indica il titolo stesso, non pretendono assolutamente di fornire una definizione esauriente dell’Uomo. Cercano, invece, molto semplicemente, di definire le sue apparenze fenomeniche, …‘. Quindi in questo segue l’indirizzo che già ci aveva annunciato quando nell’avvertenza datata Parigi, marzo 1947, al suo ‘Il fenomeno umano’ ci dice che il testo và letto ‘… esclusivamente come una memoria scientifica.’ , e ce ne confermava l’indicazione già a partire dal titolo, ma avvertendoci che riguardava ‘Solo il fenomeno. Ma anche tutto il fenomeno.

Dicevo all’inizio di questo post che potevo fornire ulteriori informazioni rispetto a quanto disponibile su questa novità editoriale, e questo grazie alla cortese disponibilità della signora Paola Adorno, direttore commerciale della casa editrice Jacabook (http://www.jacabook.it/index.htm) . Iniziamo col dire che di questo volume, uscito il mese scorso nelle librerie, ha curato la traduzione dal francese Annamaria Tassone Bernardi, presidente dell’ Associazione Italiana Teilhard de Chardin  (http://www.teilhard.it/), e già autrice e traduttrice di testi teilhardiani.

Le notizie più succose sono che la Jacabook ha in programma una serie di ripubblicazioni delle opere di Teilhard de Chardin che sono ‘L’avvenire dell’uomo’ previsto per ottobre di questo anno, e per il 2012 avremo ‘La visione del passato’ e due estratti da opere teilhardiane, ‘Le caratteristiche della specie umana’ (estratto da ‘L’apparition de l’homme’) e ‘L’uomo, l’universo e il Cristo’ (estratto da ‘Ecrits du temps de la guerre’, anche se di quest’ultimo non riesco a capirne bene il testo originale a cui si riferisce il titolo dell’estratto). Ma le novità non finiscono qui, in quanto la signora Adorno mi ha informato che sono in ripubblicazione anche due opere di Henry de Lubac ovvero ‘Blondel e Teilhard’ e ‘Teilhard, missionario e apologeta’ .

Per concludere posso solo dire che, il fuoco teilhardiano, che covava sotto la cenere del tempo, sta pian piano prendendo vigore dopo i timidi tentativi di pubblicazioni della casa editrice Queriniana con la ripubblicazione de ‘L’ambiente Divino’ (2005), ‘Il Fenomeno Umano’ (2008), ‘La mia fede’ (2008) ed altri, e dopo i volumi apparsi dall’editore Gabrielli ovvero ‘La scienza di fronte a Cristo’ (2002) e ‘Verso la convergenza – l’attivazione dell’energia nell’ umanità’ (2004). Possiamo ora ben sperare che con l’iniziativa della casa editrice Jacabook, alla quale va dato tutto il merito di aver fatto una scelta editoriale che si smarca dalle solite pubblicazioni che il panorama editoriale italiano offre, possiamo dicevo ben sperare che riprenda vigore la ristampa dell’intera opera teilhardiana, che ha ancora molto da dare al pensiero moderno, nonostante l’ostracismo di cui è stato vittima in vita così come dopo la sua morte, e del quale non è possibile imputare, come qualcuno pensa, al solo monitum del 1962 l’intera colpa, che seppur poteva rappresentare un ostacolo negli anni immediatamente successivi, non ne può giustificare il perdurare sino alle soglie del nuovo millennio!

(Fonte: http://ottaviopongoli.wordpress.com/2011/05/14/il-fuoco-sotto-la-cenere-del-tempo/)

Tempo, essere e anima nella riflessione di Aristotele
Francisco Goya, "Saturno che divora i suoi figli", 1819-1823. Immagine tratta da http://madrid.com

di Piergiorgio Sensi*

 

Tempo ed essere; essere è tempo?

Se nessuno mi chiede cos’è il tempo, lo so; se debbo spiegarlo a chi lo chiede, non lo so più. La nota battuta di Agostino (Confessioni, XI, 14) bene illustra il carattere problematico della riflessione classica sul tempo. L’esperienza (immediata) del tempo, come esperienza del trascorrere, del ‘passare’, del ‘divenire’, sembra evidente a tutti, ma la sua comprensione concettuale risultaproblematica (di inciampo) o addirittura aporetica (di assoluto impedimento al procedere della comprensione): pensare il tempo è pensare la relazione tra ciò che non è più – il passato – o ciò che non è ancora – il futuro – e il presente non sembra altro che l’intersezione di due ‘inessenti’; come può essere ciò che risulta dalla intersezione di due dimensioni che non sono? Ammoniva Parmenide: “il non essere non è”, e perciò non è pensabile. Ma l’apparire e lo sparire, il divenire, appaiono. Allora si tratta di “salvare i fenomeni”, ripensando il rapporto tra l’essere (immutabile, eterno) e ciò che, apparendo, diviene…(continua)

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Il concetto di tempo in Seneca
"Pseudo Seneca" (Museo archeologico di Napoli). Immagine tratta da http://www.iliesi.cnr.it/
di Stefano Maso*

Seneca (1 a.C.-65 d.C.) affrontò nei suoi scritti frequentemente, ma in modo non organico, il tema del tempo. In più di un’occasione gli studiosi hanno cercato di ricavare qualche indicazione risolutiva e quindi di fare il punto sull’intera questione. Così risultano solitamente in evidenza due precisi momenti e due opere: il dialogo De brevitate vitae (Sulla brevità della vita) e l’epistolario Ad Lucilium…(continua)

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Agostino: interiorità e tempo
Man Ray,"Objet-indestructible",1965 (1923). Immagine tratta da http://www.kultur-online.netdi Luigi Alici*

Pur essendo un tema – anzi, un enigma – dal quale è costantemente affascinato, Agostino s’interroga in forma ampia e organica intorno al tempo soprattutto nelle Confessioni e nella Città di Dio, intercettando tale questione nel cuore di una riflessione più complessa sul senso della nostra storia, personale e collettiva…(Continua)

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Magia e filosofia in Giordano Bruno

di Michele Ciliberto*

Fotogramma del film "Giordano Bruno" di Giuliano Montaldo (1973). Immagine tratta da: http://houseofmirthandmovies.com
Le opere magiche di Bruno sono state pubblicate per la prima volta nel 1891, nell’ultimo volume dell’Edizione nazionale, a cura di Felice Tocco e Girolamo Vitelli. Segnalate già da Abraham Noroff nel 1868, esse rappresentano un momento eccezionale nell’ambito degli studi sia su Bruno che sul Rinascimento…(Continua)
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Isaiah Berlin e la passione per le differenze

Filosofo e pluralista. Così il New York Times definiva Isaiah Berlin in occasione della morte avvenuta il 5 novembre 1997. È proprio il pluralismo, la difesa estrema della libertà di scelta intorno ai valori, l’elemento che ha caratterizzato la vita dell’intellettuale nato giusto un secolo fa, il 6 giugno del 1909 a Riga, capitale dell’attuale Lettonia ma allora parte dell’impero dello zar.Prima della fuga in Gran Bretagna, fece in tempo ad assistere ai moti rivoluzionari del ‘17, in Russia, un’esperienza che segnò profondamente la sua vita e le sue riflessioni.
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